INTERVISTA A ROBERTO PUGLIESE
ELISA MUSCATELLI
Elisa Muscatelli – Come descriveresti la tua pratica artistica a un pubblico che la incontra per la prima volta?
Roberto Pugliese – Beh allora diciamo che nella mia ricerca artistica ho diversi punti di riferimento e soprattutto diversi argomenti che sono ricorrenti, tra questi c’è ovviamente il rapporto tra l’aspetto visivo e l’aspetto sonoro. Quindi diciamo che l’idea di base di gran parte della mia ricerca è proprio quella di cercare di trovare un dialogo, una fusione tra l’aspetto visivo e l’aspetto sonoro. Dato che io come formazione sono musicista e che comunque anche attualmente sono insegnante di musica in conservatorio, in particolare insegno musica elettronica, e quindi in qualche modo mi sono anche avvicinato all’aspetto visivo, ho appunto cercato di fondere queste due tematiche insieme. Un altro aspetto importante della mia ricerca e quello del rapporto tra natura e artificio quindi in particolare tra natura e tecnologia, infatti in molti miei lavori c’è comunque questa trasformazione, questa unione, questo incontro tra tecnologia e natura, come anche il rapporto tra uomo e tecnologia. Questi sono alcuni temi principali che utilizzo nella mia ricerca artistica, tutti, come dicevo prima, comunque mediati assolutamente dal suono.
EM – Tendi a definire la tua ricerca artistica come sonora e non musicale, da cosa deriva questa scelta?
RP – La musica è solo uno dei possibili insiemi del mondo sonoro possibile. Il suono ha tantissime inclinazioni, tantissime, ha una varietà infinita, la musica che appunto gestisce il suono sotto determinati tipi di frequenze e ritmi è uno dei possibili sistemi o microsistemi del mondo sonoro, che in realtà è molto molto più ampio. Quindi dato che il background che ho io è legato alla musica elettroacustica, e in particolare all’intenzione di creare nuove tipologie proprio di suoni, quindi nuove tipologie di linguaggi attraverso suoni inediti, la mia ricerca è appunto una ricerca sonora, non prettamente musicale. Poi ovviamente nelle cose che faccio ci sono anche tanti approcci di tipo musicale in maniera più tradizionale del termine.
EM – Il suono è da sempre di vitale importanza per gli esseri viventi: dall’avvertimento del pericolo, alla comunicazione interpersonale, all’intrattenimento dell’industria musicale contemporanea. Come credi che venga percepito il suono oggi? C’è una sorta di assuefazione al sonoro così come al visivo?
RP – Per determinati tipi di “contesti sonori” sì. Almeno per dire la musica tonale è comunque un atteggiamento sonoro che ci portiamo dietro da secoli, nasce in qualche modo con Bach con appunto il clavicembalo ben temperato di Bach, che dà vita alla musica tonale così come la conosciamo. Quindi sì su determinati tipi di contesti siamo assolutamente diciamo assuefatti, però invece, come dicevo prima, il mondo sonoro è molto molto molto più ampio e quindi diciamo che pian piano sicuramente stiamo attraversando una fase nella quale anche determinati tipi di sonorità rientrano nel contesto musicale, quindi forse rispetto all’aspetto visivo ci sono più possibilità di indagine, però io credo che fondamentalmente le strade da percorrere adesso siano quelle della fusione di varie discipline, della multimedialità e di fare in modo che diversi aspetti che coinvolgono ovviamente i sensi, anche il gusto, anche il tatto, all’olfatto, possono essere in qualche modo imbrigliati in un percorso artistico più interessante, dove appunto è il dialogo tra i vari sensi che crea la differenza e non più l’accanirsi solo su appunto uno dei sensi, che come dicevi tu appunto, soprattutto quello visivo e quello sonoro, vanno verso una sorta di assuefazione. Quindi c’è questo grande utilizzo di due sensi nei confronti degli altri che magari alla lunga potrà portarci un po’ a una morte sensoriale.
EM – Nelle tue opere spesso natura e tecnologia convivono in una nuova dimensione. Credi che in futuro questi due ambiti perderanno sempre di più i loro confini definiti?
RP – Beh diciamo che fondamentalmente tutta la scienza e soprattutto la bioscienza, la chimica, sono tutte scienze che vanno verso queste nuove frontiere, cioè ovvero quelle di creare degli organismi che sono comunque metà tecnologici e metà naturali, quindi sicuramente anche l’arte ne risentirà. Anche perché prendendola un po’ più alla lontana, la tecnologia non è altro che come dice la parola stessa la “techne” e “loghía”, è comunque un discorso, è un qualcosa che è legato inevitabilmente all’arte. Storicamente gli artisti hanno sempre utilizzato la tecnologia che per loro era disponibile in quel momento storico; il pigmento è tecnologia, il pennello è tecnologia, lo scalpello è tecnologia, così come l’intelligenza artificiale è tecnologia, e il machine learning o le cose che sono più attuali. L’arte si è sempre avvalsa dell’utilizzo della tecnologia che in quel momento storico era disponibile. É normale che appunto essendoci un percorso parallelo tra tecnologia, scienza e arte e quindi dato che la ricerca sta assolutamente andando verso quella direzione, ovvero quella della biotecnologia, sicuramente l’arte utilizzerà anche questa tipologia di dispositivi, come in parte già succede. Ci sono già tanti artisti che utilizzano ovviamente risorse biotecnologiche o comunque fanno fusioni tra contesti tecnologici e contesti naturali. In un lavoro in particolare ovvero Critici ostinati ritmici, che tra l’altro adesso è esposta a Miami in una galleria d’arte per il periodo della fiera di Miami, in quel lavoro in particolare ho realizzato questo software che si collega in tempo reale a delle stazioni satellitari in giro per il mondo che riescono a mappare quanti ettari di alberi vengono abbattuti in tempo reale, e in base alle statistiche ogni volta che un albero viene abbattuto c’è una sorta di piccolo picchio elettromeccanico, ce ne sono tanti, che appunto picchiano su questo tronco vuoto a simboleggiare quanti alberi vengono abbattuti per la deforestazione. Quindi c’è un’intenzione ben precisa nell’essere in qualche modo almeno testimone di quello che sta succedendo, ma questo è un lavoro che comunque ha già, se non ricordo male 11 o 12 anni. Però secondo me l’artista è per forza, deve essere diciamo, in qualche modo presente nel proprio momento storico e parlare anche delle problematiche che più sente presenti nella vita, insomma nel momento storico in cui viviamo. Non è l’unico lavoro che ho fatto su questa scia, ne ho fatto un altro che si chiama Lussuosa macabra vanità, nel quale invece c’era questo software che si collegava e scaricava statistiche in tempo reale riguardo al numero di animali da pelliccia che vengono ammazzati. Anche questo era un lavoro che appunto prendeva statistiche in tempo reale da siti vari e quindi oggettivamente c’è una parte della mia ricerca, come quella anche per esempio che ho presentato a Venezia qualche anno fa, legata all’acqua alta, dove appunto c’era questo lavoro nel quale il suono cambiava in base ai dati che arrivano dalle stazioni di acqua alta di Venezia, che anche quello era legato all’innalzamento dei mari causato dal riscaldamento globale. Credo che sia assolutamente importante ragionare in qualche modo, dare un’idea diversa, un’idea trasversale, almeno un punto di vista personale su quello che sta succedendo a livello ambientale, senza retorica, senza presunta superiorità morale, semplicemente un punto di vista diverso. Nel caso ad esempio di Critici ostinati ritmici, dove appunto ci sono questi picchi che picchiano sul tronco in base a quanti alberi vengono abbattuti, lì la volontà era proprio quella di farli sentire nel vero senso della parola. Se io ti dico “Vengono abbattuti 200 ettari di alberi al giorno” tu dirai “Va beh sì okay”, ma non hai un’idea percepibile di quello che realmente sta succedendo, se invece ti faccio sentire singolarmente ogni albero tramite appunto un colpo, questo dato non è più solo un dato simbolico, non è solo un numero, ma diventa un qualcosa di percepibile. E quindi è lì che in qualche modo la tecnologia viene ed entra a disposizione di un discorso artistico che è legato a un tema di natura ambientalista.
EM – Cito da una tua intervista “L’artista essendo specchio del proprio tempo può decidere di utilizzare le nuove tecnologie disponibili, ma credo che il risultato e il messaggio di un’opera prescindano dalla tecnica utilizzata per realizzarla”. In che modo immagineresti le tue opere senza l’utilizzo dei nuovi media?
RP – Bella domanda, allora faccio una precisazione, questa è una risposta sentita però d’altra parte io prendo sempre con le pinze. Ci sono diverse tipologie di approcci, Heidegger invece era uno che ci teneva molto a specificare che l’opera è figlia anche del mezzo utilizzato per arrivare al fine artistico, quindi diciamo che io sono un po’ in bilico tra le due strade. Dal mio punto di vista sì, il mezzo è importante però la cosa più importante è l’idea che tu vuoi portare a termine, quindi se io utilizzo un software oppure un altro ovviamente ci saranno delle differenze, software che scrivo io perché purtroppo sono anche programmatore, però fondamentalmente ai fini del messaggio non so quanta differenza poi l’utilizzatore finale possa notare. Però questi sono discorsi un po’ complessi da nerd, che adesso mettiamo un attimo da parte per arrivare alla tua domanda. Io sono un grandissimo appassionato di disegno, proprio perché è una cosa molto lontana da me. Io invidio tantissimo e amo tantissimo le persone che sanno disegnare bene, infatti sono collezionista di disegni. Se io non avessi a disposizione la tecnologia, se intendiamo la tecnologia come quella informatica, quella del suono, che è predominante nella mia ricerca, probabilmente non lo so, mi studierei un modo di disegnare alternativo o una pittura di altro tipo, inserendo oggetti. Non ne ho idea, però credo che la creatività fondamentalmente sia a 360° quindi dato che l’arte è, dal mio punto di vista, un’estrema necessità di comunicazione, se sentissi il dovere come lo sento, il dovere diciamo, il piacere e il dovere, l’istinto, quello che vuoi tu, di dover comunicare un modo lo troverei, su questo non ho dubbi.
EM – Quale è stato per te un riferimento storico, letterario o cinematografico di grande impatto nello sviluppo della tua carriera artistica e personale?
RP – Beh sono ovviamente un’infinità, quello che io dico sempre è che l’artista è una spugna, cioè l’artista attinge in maniera continua tutto quello che ha attorno in maniera viscerale, qualsiasi cosa che legge, che vede, insomma diventa parte di sé e poi la rivomita fuori con la sua sensibilità, con il suo modo di vedere. Quindi sicuramente gli stimoli sono stati tantissimi. Dal punto di vista cinematografico io sono un grande fan del genere cyberpunk per intenderci, quindi da Blade Runner a tutta la cinematografia in poi, diciamo cyberpunk, mi ci sono drogato con il cyberpunk, tantissimo, ma dal punto di vista anche teatrale io sono un grande fan dei Raffaello Sanzio, che sono uno dei gruppi teatrali più importanti del mondo, sono italiani, ma nel teatro sperimentale sono non all’avanguardia ma alla stra avanguardia, ma già da trent’anni, quindi pure loro per me insomma sono stati importanti. Dal punto di vista letterale ti direi la stessa cosa, cioè il cyberpunk ovviamente è un genere che nasce come romanzo per poi trasferirsi in cinema, ma come tutta la letteratura, io leggo di tutto leggo dal trattato di matematica ai romanzi. Leggo davvero di tutto, e che credo che gli stimoli possono arrivare e debbano arrivare da più parti possibili. Non credo che bisogna essere così settoriali, soprattutto nella creatività, quindi veramente mi capita di leggere qualsiasi cosa.