Fulvio Tomasi. Vado e torno – 4 passi in posti strani
inaugurazione sabato 21 febbraio ore 18.00
dal 21 febbraio 28 marzo 2015
“L’incisione mi piace perché scava un solco. E’ un lavoro lento, come il lavoro dell’acqua nel Carso che si apre grotte e gallerie. Come il lavoro della mente quando riflette su di sè”. E’ triestino, Fulvio Tomasi, e di Trieste ha la complessità identitaria e l’apertura alla pluralità dei mondi, reali e immaginari. Coscienza e inconscio, percezione sensibile e proiezione onirica, si intrecciano indissolubili nelle sue acqueforti che prendono vita attingendo alle forme della visione individuale e alle icone della cultura popolare, alle vertigini della psiche e alle angosce collettive.
Con il sorriso, però, dell’ironia, dell’allusione ammiccante e surreale. E con la sapienza di chi la calcografia la pratica come una lingua madre.
Le carte restituiscono la perizia quasi maniacale con cui l’artista conduce il lavoro sulla matrice, nel gioco raffinatissimo delle gradazioni di tono, negli studiati passaggi di luce, nell’espressività straordinaria di un segno che si dirada e si addensa con notevoli effetti di trasparenza e profondità.
Il linguaggio di Tomasi, popolato di creature e orizzonti che invano tentano di ordinare il caos e codificare il sogno, spalanca le soglie dell’immaginazione e ci congiunge con i meandri della psiche. Dovunque, occhi che spiano, che sfuggono, che stanano, che indagano, tra quotidiane insidie di relazione e ansie di isolamento. E occasionali chimere metamorfiche figlie della notte e del giorno, dell’incubo e della routine. L’occhio tutto insegue, sulle scie di vertiginosi, calligrafici percorsi percettivi, tra curiosità, dilemmi, evasioni e paradossi di un universo che spesso e (mal?) volentieri si riduce a un microcosmo, intessuto di allusioni poco rassicuranti e di inattese prospettive di fuga. Anche il titolo della mostra, “Vado e torno – 4 passi in posti strani”, strizza l’occhio a modo suo a chi osserva, cercando una complicità familiare con le diversioni di tutti.
Le sue carte, tra astrazione figurata e grafica fumettistica, si reggono formalmente sull’equilibrio dinamico tra figura e sfondo, ottenuto con un lavoro lento e paziente sulla lastra, estremamente calibrato nell’uso dei segni e delle morsure, che può durare dei mesi.
“Mi sono appassionato all’acquaforte per curiosità e mi sono accorto che questo linguaggio ce l’avevo dentro – spiega Tomasi. “L’erosione è un tema che in me ricorre, l’idea cioè che da una forma piena si creano nel tempo spazi vuoti”.
Sono lavori “un po’ cerebrotici”, come ama definirli l’artista, che affondano le radici nell’ambiente “di frontiera” cui appartiene, in modelli filosofico-letterari tra l’esistenzialismo, la psicologia, la fantascienza, dal Kybalion, a Svevo, a Bradbury, in riferimenti estetici-artistici come i comics degli anni Trenta e la grafica pubblicitaria e d’arte come le prospettive ingannevoli di M.C. Escher.
L’arte di Fulvio Tomasi delinea, con eleganza e leggerezza, lo spazio onirico della mente e della visione e sfida con intelligenza il carattere ambivalente della realtà, il non detto che rimane sotto la superficie della comunicazione e dietro la facciata delle cose.
Testo di Stefania Burnelli
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