Sabato e domenica: 10.30 – 12.30 / 14.30 – 17.30
Da lunedì a venerdì apertura su appuntamento
Palazzo della Misericordia, via Arena, 9 – Città Alta, Bergamo
spaziobaco@gmail.com
a cura di Sara Benaglia e Mauro Zanchi
Amplitude è un momento del percorso di ricerca di Francesco Pedrini, nato dall’esigenza di comprendere e contenere il cielo.
Dal 2009 l’artista bergamasco cerca di fermare il contemporaneo infinito ridisegnando tutte le stelle della volta celeste. L’incontro con specie di telescopi acustici apre a una ulteriore dimensione di confronto, mediata da poetici strumenti di ascolto del cielo. La cecità gestuale e ottica genera un cortocircuito assoluto. L’illustrazione del buio della contemporaneità del filosofo Giorgio Agamben guida come un faro la ricerca sulle dimensioni dello spazio di Pedrini: “Nell’universo in espansione, le galassie più remote si allontanano da noi a una velocità così forte che la loro luce non riesce a raggiungerci. Quel che percepiamo come il buio del cielo è questa luce che viaggia velocissima verso di noi e tuttavia non può raggiungerci, perché le galassie da cui proviene si allontanano a una velocità superiore a quella della luce. Percepire nel buio del presente questa luce che cerca di raggiungerci e non può farlo, questo significa essere contemporanei”. Lo spostamento verso la chiusura degli occhi, nel tentativo di ascoltare il cielo, è conseguenza dell’incontro fallimentare con un infinito che per essere approssimato dai nostri sensi obbliga alla ricerca di nuove aperture. Ma al contempo è un esercizio dell’ampiezza. In mostra si vedono disegni ottenuti con l’impalpabilità della polvere, che è materia di cui è composto l’universo e gli oggetti che va a disegnare: stelle, nebbie, tornado.
Pedrini crea protesi per un atto di puro ascolto del cielo, ispirandosi alle strumentazioni antiaeree della prima guerra mondiale, tramite le quali soldati e civili erano obbligati a decifrare i suoni che arrivavano dal cielo per proteggersi e sopravvivere. Feriti di guerra ciechi erano utilizzati come ascoltatori del cielo per intercettare aerei nemici, perché avevano acuito i sensi dell’udito. È partendo da queste considerazioni che l’artista ha costruito un proprio sound locator per captare i suoni della nebbia e nell’universo. Non ricercando la bellezza, né lo stile della forma, bensì un utilizzo plausibile di questi apparati. Pedrini ha fabbricato in modo artigianale questi strumenti paradossali per indirizzare l’ascolto verso ciò che si muove al di là del mondo, strumenti che devono evocare anche le forme delle trombe d’aria.
I disegni dei tornado – fatti di polveri, pigmenti e grafite su una base d’acqua – sono materia d’indagine formale di tutte le innumerevoli formazioni che i vortici d’aria possono avere. L’approssimazione di un cammino precede una forma tangibile, mentre continuo è il fallimento di bloccare la mutevolezza di elementi eterei.
L’idea di adottare un metodo di avvicinamento a manifestazioni di infinito è giunta a Pedrini durante un viaggio in Argentina. Nelle prime foto da lui realizzate nel campo di Pietra Pomez capisce che la sua ricerca vuole cogliere i caratteri universali del punto in cui nulla e infinito entrano in contatto. Il lavoro di Pedrini si sta spostando verso soggetti prossimi al nulla.
Che cosa significa sentire il vento e guardare le mutazioni del giorno nella notte? Che cosa si vede guardando dentro al buio del tempo?