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    NELLE INTERMITTENZE DEI SEGNI
    NELLE INTERMITTENZE DEI SEGNI
    [= NELLE === INTERMITTENZE === DEI == SEGNI =]
    VIAMORONISEDICI SPAZIOARTE
    03.03.18 - 07.04.18

    3 marzo – 7 aprile 2018
    Inaugurazione: sabato 3 marzo, ore 18.00
    Via Moroni, 16 24121 Bergamo
    tel. +39 347 2415297
    mart – sab 16.00-19.30 | domenica e lunedì su appuntamento
    info@viamoronisedici.it
    www.viamoronisedici.it



        [== LINK ==]

    Calisto Gritti
    Paolo Facchinetti
    Michele Savino

    a cura di Vittorio Raschetti

    Sostando presso tracce di sospensione, pause di contemplazione tra segni inafferrabili. Oltre qualsiasi intenzione, distillati poetici visivi convergenti in improvvisi punti di condensazione. Simulacri di mondi indecisi tra segrete ossessioni, risvegliati oltre il sonno dell’attenzione, sotto la pressione della ripetizione. Pulsioni mai definitivamente spente, mentre il tempo si ripiega su se stesso galleggiando senza peso nella progressiva rarefazione. Armonie pronte a manifestarsi in pienezze e dissonanze seducenti, svelando il potenziale inscritto nell’istinto del tracciare.

    Incontro tra generazioni a velocità differenti, interconnessione di segni, risuonare di simboli nell’incommensurabile differenza significante. Confronto tra alfabeti impossibili da traslitterare, scritture intraducibili si rispecchiano in un’attitudine analoga che attraversa artisti differenti ma situati nel medesimo confronto col foglio aperto che attende segnali di passaggio.

    Oltre la versione letterale delle storie, nulla rimane familiare e l’inconsueto si manifesta dove i segni sembrano riconoscibili eppure già perdutamente diversi. Sofisticati accenni alla realtà, aperture improvvise su universi appartati, attraversando mondi possibili, seguendo impulsi transitori e legami sottesi tra piani contigui e permeabili. Tracce di interpolazioni e cancellazioni tra manoscritti di antiche dottrine perdute nei laboratori del dubbio, ritirate ai margini della leggibilità, confinate dentro camere di contemplazione, tra reticenze e segreti per sempre murati.

    Una linea discontinua, ma attraversata da rimandi latenti e connessioni involontarie, attraversa le pratiche degli artisti, che frequentando il grado zero di una riduzione concettuale ad alfabeti atavici, si ritrovano a fondare linguaggi anteriori alla parola, ma già in grado di indicare direzioni, di alludere a significati installati nella pura evidenza visibile.

    Il movimento musicale di una disposizione di tracce acustiche, armonie tra gravi e acuti, ritmi di pause, intervalli brevi, brevissimi, tra inclusioni e riverberi, nei guizzi delle correnti instabili dei segni di Calisto Gritti: scritture e sottotesti sottotraccia, frammenti instabili, inquieti e zampillanti, vacillanti tra composizione e decomposizione, tra emersione alla superficie del visibile e affondo nell’oblio del silenzio. Un principio di indeterminazione, di dislocazione costitutiva della materia sembra muovere gli sciami elettrici dei segni disseminati in un campo di forze distribuite secondo flussi di addensamenti di intensità. Un timbro di ripetizione differente apre così ad una struttura combinatoria di variazioni, moltiplicazioni di tracce tra pressioni, intervalli, tracciati e silenzi, in una proliferazione di embrioni di segni. Forze centrifughe in allontanamento vorticoso da un centro immobile e silenzioso come l’occhio di un ciclone. Linee di erranza, traiettorie, congiunzioni, dissezioni di segni in una cartografia della dissoluzione analitica di tracce tremanti e vibranti in una risonanza musicale. Segni interrotti, impigliati in altri segni, frammenti instabili in un intreccio di rapporti e configurazioni decentrate e prive di costruzione gerarchica in una variazione continua degli orientamenti dove il centro è dappertutto e in nessun luogo.

    Steli sotterranei superficiali, inflessioni, onde profonde nelle correnti inconsce, nelle campiture di Paolo Facchinetti, emersioni e abluzioni nella materia fluida del divenire traccia. Abrasioni ed emulsioni, stratificazione e dissolvenze attraverso la permeabilità delle superfici congelate e solitarie, rallentate, risucchiate sotto lo strato inattingibile della forma introversa e assorta, capace di manifestarsi solo attraverso sintomi e comunque tradirsi oltre qualsiasi pudore. Accumulando distanza, raccogliendo vicinanza, attendendo il risalire di maree che lentamente dilagano. Così gesti nati impulsivi e impregnati di vita, approdano sull’immagine solo dopo una meditata depurazione. Un’ecografia che lascia apparire il disporsi di vettori, di campi di forza, rendendo intelligibile non tanto la figura, quanto lo scheletro semiotico essenziale.

    Le tracce fantasma di Michele Savino, apparenti ricostruzioni archeologiche che affondano in un antico innominabile, sono, in realtà, germinazioni di un movimento genealogico del segno che si mostra allo stato nascente, che mostra l’origine come enigma, come centro di irradiazione di domande sul senso del tempo, sull’ambiguità del significare. La costitutiva funzione del segno sembra così non tanto l’indicare ma piuttosto l’evocare, rimandando ad una ontologia negativa della non presenza, dell’assenza. Il segno non delimita, non istituisce una rigorosa geometria dei confini e delle appartenenze, ma si situa su una soglia, si trattiene in un’ambigua indecisione: una premessa e una promessa, in transito tra gli spazi, circondata dall’aura di solenne indifferenza del tempo in apnea.

    Il segno è lo stimolo, non l’immagine, capace innescare aspettative, di orientare direzioni delle sguardo. L’indizio si sofferma ad un passo dalla soluzione, pone domande, non cerca risposte, solamente chiede di essere interpretato.

    Pause strutturate con sincronica precisione disposte ad accogliere il silenzio significante gettato incontro al destino. Un viaggio nelle intermittenze dei segni tra inattese apparizioni e improvvise scomparse, dove i simboli si implicano e complicano nascondendosi dietro le strategie di enigmi ancora da decifrare. Stagliati sulla superficie di un campo di sensibilità, eccitabili e mobili, disposti su uno spazio vago di turbolenze e di vitalità elusiva. I segni sono anticorpi contro l’uniformità avvolgente stesa sulla possibilità di firmare il proprio passaggio oltre il perdersi del senso, oltre il perforarsi del tempo. La sensazione che tutto sia troppo breve spinge a trattenersi nei segni come archetipi che ci oltrepassano per durare più a lungo.

    I segni sono tensioni che lasciano risuonare sulla tela l’eccitazione del sistema nervoso degli artisti. Vibrazioni di menti in fuga già pronte ad oltrepassare il proprio alfabeto muto di gesti dove l’autentica intenzione si tradisce attraverso la collisione dei segni, dove il vero senso si scopre inseguendo le migrazioni incessanti dei segni nei sogni.

                                                                                               Vittorio Raschetti
    © THE BLANK 2024
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